Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge, che contiene norme dirette a migliorare le condizioni di vita nelle aree del «disagio insediativo», nasce dalla consapevolezza delle grandi potenzialità delle aree in questione in termini di turismo, produzioni tipiche e risorse culturali e ambientali, quindi dalla volontà di valorizzare tale patrimonio. Le proposte concrete e le soluzioni operative

 

Pag. 2

in essa contenute derivano da numerose iniziative promosse negli anni passati, su tutto il territorio nazionale, da Legambiente e Confcommercio in collaborazione con la Federazione italiana parchi e riserve naturali, con la Confederazione italiana agricoltori, con la Coldiretti, con l'Unione delle province italiane e con l'Unione nazionale comuni, comunità, enti montani.
      Il testo di tale proposta di legge, peraltro, riproduce nella prima parte il testo della proposta di legge atto Camera n. 1174 della XIV legislatura, presentata da deputati appartenenti a tutti i gruppi parlamentari e approvata pressoché all'unanimità dalla Camera dei deputati.
      L'armonica distribuzione della popolazione sul territorio è una ricchezza insediativa che rappresenta una peculiarità e una garanzia del nostro sistema sociale e culturale, una certezza nella manutenzione del territorio e una opportunità di sviluppo economico. In Europa, Francia e Italia sono le nazioni dove la popolazione è maggiormente distribuita; nel nostro Paese 5.868 comuni hanno meno di 5 mila abitanti, pari al 72 per cento dei comuni italiani. Viviamo una ricchezza insediativa che il Cattaneo ha descritto come «l'opera di diffondere equabilmente la popolazione», «frutto di secoli» e di una «civiltà generale, piena e radicata» che ha favorito la distribuzione «generosamente su tutta la faccia del Paese».
      Ma lo spopolamento e l'impoverimento di vaste aree - soprattutto pedemontane, montane e insulari - hanno nel secondo dopoguerra assunto caratteri strutturali delineando un'Italia che possiamo definire del «disagio insediativo», che interessa tutto l'arco alpino, soprattutto ligure, piemontese, lombardo e friulano, si concentra lungo la dorsale appenninica ligure, tosco-emiliana e centro-meridionale, nelle parti montuose e interne della Sardegna e della Sicilia; attecchisce nel robusto «piede d'appoggio» meridionale, risale gli Appennini dalla Calabria all'Abruzzo, interessando pesantemente la Basilicata, dove ben 97 comuni sono a rischio progressivo di estinzione, e si apre, affievolendosi, verso nord, secondo una biforcazione che tocca aree interne delle Marche e della Toscana meridionale.
      Tale spopolamento fa sì che l'Italia sia diventata un Paese ad alto rischio geologico, afflitto quasi annualmente da gravi episodi di natura ambientale (terremoti, alluvioni ed eruzioni) ma in buona misura anche da consumo eccessivo di suolo (spesso abusivo), incuria e, naturalmente, abbandono. Quantitativamente il dissesto idrogeologico (frane e alluvioni) nel periodo 1918-1990 riguarda 373 comuni (quasi il 5 per cento del totale) (Fonte CNR). A questo dato vanno aggiunti 2.678 comuni colpiti da frane e 1.727 da alluvioni, per un totale di 4.405 comuni colpiti: oltre il 50 per cento dei comuni italiani è stato colpito negli ultimi sessanta anni da calamità «naturali». Secondo il CRESME (dati Progetto AVI del CNR) le regioni nelle quali sono state censite più frane sono la Campania (oltre 1.600), l'Abruzzo, la Liguria e la Lombardia, con oltre 1.300 eventi. Le alluvioni hanno interessato il Veneto con oltre 2.000 eventi, il Piemonte e l'Emilia-Romagna (bacino del Po), la Toscana (Arno) e il Friuli-Venezia Giulia, con oltre 1.000 eventi.
      Tale situazione scaturisce anche dalla mancanza di manutenzione, attività storicamente svolta dagli agricoltori e oggi non più adeguatamente sviluppata.
      Sempre secondo il CRESME, si stimano costi annuali causati da catastrofi ambientali pari a circa 30-40 miliardi di euro; di questi circa due sono spesi per le sole «terapie intensive», per un totale di circa 100 miliardi di euro negli ultimi cinquanta anni. Quantificando i danni «derivanti dai soli eventi riferibili alla scarsa tutela e gestione del territorio», emerge un ticket annuale di circa quattro miliardi di euro.
      Un disagio che rischia di divenire profondo con la crescente rarefazione, dei servizi al cittadino: servizi pubblici accorpati per il contenimento dei costi (uffici postali, presìdi territoriali scolastici, sanità eccetera); insufficiente manutenzione del territorio; esercizi commerciali privi di una domanda adeguata per la loro sopravvivenza. Dunque, come la questione sanità
 

Pag. 3

che rappresenta forse la prima preoccupazione per chi vive in contesti isolati, così i servizi territoriali e commerciali rappresentano una condizione di vivibilità essenziale, peraltro riconosciuta e supportata dalla stessa Unione europea.
      Fenomeni di disagio si ripetono in numerose nazioni dell'Unione europea, che hanno già avviato politiche locali e generali di intervento per riportare le popolazioni nei piccoli comuni, per avviare una nuova fase di sviluppo e arginare preoccupanti fenomeni come quelli della desertificazione. Le azioni, pur nella loro diversità, muovono da una comune convinzione, ovvero che lo «sviluppo locale passa per il rafforzamento della più importante delle ricchezze che è la risorsa umana».
      I tentativi sono avviati con più o meno successo, ma con la consapevolezza che gli interventi vanno mirati con modalità diverse a seconda del Paese e dei territori interessati. Alcuni esempi: in Svezia, all'inizio degli anni novanta, è stata lanciata una campagna nazionale («Hela Sveriga Ska leva/Tutta la Svezia deve vivere») in cui si invitano tutti i cittadini a prendere l'iniziativa ed attivarsi nell'organizzazione della vita e dei servizi sociali all'interno dei villaggi. Dopo quasi un decennio sono tremilacinquecento i gruppi locali attivatisi che si occupano dello sviluppo di servizi alla popolazione e gestiscono numerosi investimenti, migliaia di posti di lavoro e centri di telelavoro.
      In Irlanda l'esperienza dell'azione di una associazione come la Rural Resettlement Ireland ha ispirato l'attuazione negli anni '90 di un programma pilota cofinanziato dall'Unione europea.
      In Finlandia non esiste una politica nazionale specifica, ma alcune iniziative locali tendono a invogliare le famiglie a trasferirsi dai centri più grandi in campagna.
      In Spagna, in particolare in Aragona, sono state attivate con successo politiche di accoglienza anche di lavoratori provenienti dall'Argentina, offrendo loro casa e lavoro.
      In Francia sono stati avviati un ampio dibattito e numerose sperimentazioni sulle politiche di accoglienza nei centri minori e in special modo nel Limousine si tentano e si premiano soluzioni innovative e progetti di inserimento.
      In Italia, invece, sostanzialmente, oltre agli interventi previsti dalla legge 31 gennaio 1994, n. 97 (cosiddetta «legge sulla montagna»), non si intravedono altri strumenti di sistema a sostegno e sviluppo di politiche di accoglienza nei piccoli comuni. Fatta eccezione per le possibilità che il progetto «Appennino parco d'Europa» (APE) - ideato da Legambiente e regione Abruzzo e avviato in collaborazione con il Servizio conservazione della natura dell'allora Ministero dell'ambiente e già finanziato per progetti infrastrutturali a valenza nazionale - dischiude alla volontà di enti locali e territoriali di praticare concretamente e sviluppare queste politiche di salvaguardia e di valorizzazione nei territori della dorsale appenninica che attraversa e unisce l'Italia dal nord al sud fino alla Sicilia.
      Con APE emerge un'immagine dell'Appennino quale grande sistema ambientale e territoriale di valore europeo e internazionale, fortemente connotato dalla presenza di aree protette e nel quale, proprio per questo, è possibile sperimentare l'avvio di politiche di conservazione e di sviluppo sostenibile.
      Con la proposta di legge si vogliono mettere in rete una serie di iniziative in grado di fare «sistema» nelle aree interne maggiormente disagiate per far sì che divenga conveniente abitare, ad esempio, in un piccolo comune della Basilicata, della Calabria o dell'Appennino tosco-emiliano. Si vogliono delineare concrete misure per il sostegno ai piccoli comuni e alle attività economiche, agricole, commerciali e artigianali, secondo forme coerenti con le peculiarità dei territori dei piccoli comuni, che potranno rappresentare un investimento per il rilancio sociale ed economico e per la valorizzazione del patrimonio ambientale e storico-culturale di queste aree. Agevolazioni sull'affitto, il mantenimento delle strutture scolastiche e
 

Pag. 4

dei presìdi sanitari, delle stesse caserme dell'Arma dei carabinieri, la possibilità di pagare le bollette negli esercizi commerciali recuperando la figura dei vecchi «empori», la garanzia di avere un distributore di benzina, sono le condizioni essenziali per invertire un trend che rischia di creare solamente disagi al nostro Paese.
      Nella competitività territoriale non esistono aree sciaguratamente deboli, ma soltanto aree non messe in condizione di competere e dunque costrette a tenere «sotterrati i propri talenti». Per trasformare un problema in opportunità, impedendo che una «grande fetta» della superficie del Paese resti marginalizzata e non letta quale opportunità di crescita economica e di riequilibrio territoriale, è necessario creare le precondizioni per lo sviluppo - sinteticamente, nelle aree fragili del nostro Paese queste si chiamano «servizi territoriali» - che evitino le politiche di generalizzato sostegno del secondo dopoguerra e che siano mirate e selettive, attuate secondo forme di partnership tra pubblico e privato, capaci di esprimere un positivo bilancio economico, ambientale e intergenerazionale.
      Il mantenimento di un'adeguata rete di servizi territoriali e di esercizi commerciali nei territori dei piccoli comuni costituisce una delle condizioni per una loro rivitalizzazione economica.
      Lo sviluppo imprenditoriale e agricolo, si avvale di incentivi e di nuove opportunità, anche di piccole dimensioni caratterizzandosi in micro-attività puntuali e diffuse, che saranno comunque in grado di attivare circoli economici virtuosi, capaci di arrecare sicuri benefìci ambientali soprattutto applicando l'innovazione tecnologica. Sarà inoltre possibile recuperare, attraverso tali attività, anche molte forme di manualità storicamente presenti nelle esperienze lavorative degli addetti locali.
      In linea con le misure dirette a valorizzare il patrimonio ambientale e storico-culturale dei piccoli comuni, sono gli interventi, contemplati dal capo III della proposta di legge, finalizzati al recupero dei centri storici e dei nuclei abitati rurali compresi nelle aree protette.
      È noto, infatti, che queste aree, quando sono antropizzate, hanno un tessuto urbano fatto di piccoli e piccolissimi comuni, che costituiscono un patrimonio di valore inestimabile e di importanza fondamentale per la salvaguardia dell'identità storico-culturale dell'intero Paese.
      Tali centri minori registrano, da un lato, costanti fenomeni di spopolamento, dovuti anche al progressivo invecchiamento della popolazione, dall'altro elementi di degrado e di manomissione del patrimonio edilizio preesistente, che rischiano di cancellarlo per sempre o comprometterlo irreversibilmente.
      Si tratta di interventi non appropriati che trovano il loro fondamento talora in disposizioni eccezionali, altre volte nell'emulazione di modelli forniti dalla società moderna, che ha indotto il piccolo risparmio o l'emigrazione di ritorno ad alterare i caratteri tradizionali dei vecchi centri o a realizzare agglomerati e case sparse, talvolta simili a periferie urbane con tipologie improprie e d'impatto notevole.
      A fronte di tale situazione, la legge-quadro sulle aree protette (legge 6 dicembre 1991, n. 394) - nel definire un complesso e articolato quadro normativo per l'istituzione e la gestione di aree naturali protette al fine di «garantire e promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese» - all'articolo 7 ha attribuito priorità nella concessione di finanziamenti agli interventi di restauro dei centri storici e degli edifici di particolare valore storico e culturale e al recupero dei nuclei abitati rurali.
      In tale panorama, si inseriscono le misure contemplate dalla presente proposta di legge. Essa - a fronte dell'esistenza nei comuni compresi nelle aree protette di un'edilizia «impropria», spesso simile a quella delle periferie urbane - propone di recuperare i caratteri tipici dei luoghi, attraverso tipologie e materiali appropriati al contesto ambientale.
 

Pag. 5


      Tale finalità può essere realizzata valorizzando uno strumento già contemplato dalla normativa vigente, il programma integrato d'intervento di cui alla legge 17 febbraio 1992, n. 179. Attraverso una più puntuale definizione del suo contenuto, tale strumento appare infatti funzionale alla realizzazione di interventi, che, mediante una rilettura dell'edilizia tradizionale e del paesaggio, siano rivolti alla riqualificazione ambientale, urbanistica ed edilizia.
 

Pag. 6